sabato 7 luglio 2012

La possibilità di scegliere


Avevo vent'anni quando arrivai a Corte Molon in Parona, accolta da una comunità per fare la mia prima esperienza d'animatrice in un quartiere degradato di Verona. Dovevo portare la gioia... Avevano 12  13  14 anni... avevano già vissuto tutto... facevano sesso senza amore... ricordo ancora la prima paletta da ping-pong che mi trovai a schivare quando uno di loro si trovò a perdere la prima partita contro di me... la rabbia... le parolacce nel dialetto locale... gli insulti contro la mia persona...
"Perchè spacci e non pensi a trovarti un lavoro?" - domanda mia del cavolo.
"Setu fòra? Per fare la fame? Guadagno di più così!".
Cosa ne potevo sapere io?
... tornavo in comunità la sera, e passavo la notte a studiare... spesso mi ritrovavo a piangere... l'animazione non centrava niente con quei ragazzi, ci voleva qualcos'altro... leggevo... ero alla ricerca di un senso... volevo comprendere.
Il mito del quartiere era il capoclan, un boss stimato da tutti che passava più tempo in carcere che in libertà... che altro volevo capire io???


In piena notte sentivo Don Sergio che rientrava... era stato in strada... lo immaginavo mentre guardava sotto la porta della mia camera vicino alla sua per controllare se ero ancora sveglia... mai una domanda... al mattino partivo presto e la sera, quando rientravo, trovavo un suo biglietto colmo di affetto lasciato sul mio letto.
"Don Sergio perchè hai fondato queste Comunità?"... la tossicodipendenza mi faceva paura... vi erano così tanti pregiudizi in me... mio padre diceva che i drogati li avrebbe bruciati tutti, poi, quando mi accompagnava a scuola, incontravamo il solito ragazzo che ci fermava per chiedere che cosa pensavamo delle comunità di recupero... e lì assaggiavo il paradosso: mio padre per essere coerente con se stesso rispondeva che le avrebbe bruciate, poi dava al ragazzo 15.000£ con gli occhi lucidi... ed io mi chiedevo perché.
"Don Sergio perchè una persona arriva a drogarsi?" -
"Non sempre è una scelta!" - era sempre telegrafico Don Sergio, paziente, serioso, carismatico, dolce, attivo, forte, sorridente, umile, comprensivo, mai un giudizio...
Don Sergio è stato il mio primo grande maestro, perché lui non spiegava mai niente, ma trovava il modo per farti arrivare da solo a capire le cose. Ricordo quella notte... sentii il suo passo sulle scale... era quasi l'alba... aprii la porta della mia camera... Don Sergio era stato in strada coi barboni... fa più "figo" se li chiamiamo "clochard", ma lui era stato proprio coi barboni... ci fu solo uno scambio di sguardi, nessuna domanda, una buonanotte e un sorriso che esprimeva alleanza.
La sera dopo mi chiamò... non mi disse niente, ma mi mostrò delle foto: il cimitero dei cani, appena creato a Verona... tutti quei fiori... tutta quella cura... i cani... in altre foto cartoni per terra carichi di immondizia... persone senza volto nascoste dal peso di grosse coperte... i barboni... è una scelta??? c'è sempre qualcuno per noi???

"Non sempre è una scelta!" - divenne un'espressione forte in me che mi indicò la strada per passare dall'ANIMAZIONE in cui ti "inculcano" il "dovere" di far "ridere" la gente all'EDUCAZIONE in cui devi agire intenzionalmente, ma non direttamente, per accompagnare la persona a sviluppare quelle risorse che le possano permettere di scegliere.

Qualche anno fa un amico, mentre passeggiavamo in un parcheggio, mi ha ripetuto quest'espressione riferendosi alle opportunità di lavoro.
"Non tutti possono scegliere!" - mi disse.
Ed io mi trovai a chiedermi perché mi avesse detto questo, proprio a me che avevo fatto mia quella espressione. Mentre nel lavoro sapevo mettermi in posizione di ascolto, sapendo che la persona mi parlava di sè, in quel momento non lo feci... mi chiesi che cosa volesse farmi capire, e non mi accorsi che mi stava comunicando qualcosa, che mi stava parlando di lui. Eppure mi aveva appena detto che  un suo amico medico gli aveva insegnato davanti ad un cliente a non pensare che la persona fosse "pazza", ma a chiedersi perchè gli stesse dicendo proprio quella cosa, che cosa volesse dirgli, comunicargli.

Lavorando nella tutela minorile questa verità mi è sempre più chiara... da anni ormai ho orientato il mio lavoro ad una relazione d'aiuto che avviene solo quando l'altro si sente la possibilità di scegliere e non rimane prigioniero delle sue certezze disancorate dalla realtà...

Tutti i giorni mi rendo conto 
che la possibilità di scegliere è il dono più prezioso che ci è dato,
ciò che dà essenza alla nostra persona, 
e dobbiamo lottare molto per conquistarla,
... solo quando sappiamo vedere strade diverse
possiamo diventare creatori del nostro destino...
ma non sempre questo è facile da ricordare.


Grazie a Marcia Grad Powers che in questi giorni me lo sta ricordando!

Dal suo bestseller: 

"[...] Ripensando alle scene che riguardavano l'infanzia del principe dichiarò: "Ancor prima che ci incontrassimo, era già arrabbiato per un sacco di cose, e in seguito si è sfogato con me. Non ho mai avuto alcuna possibilità: ha usato l'amore che provavo nei suoi confronti per farmi soffrire, godendo del mio dolore. Ma per molto tempo non sono riuscita a lasciarlo".
"Se il bisogno di amore di una persona sovrasta la sua esigenza di rispetto, la spinge a diventare la vittima di qualcuno che lo è stato in precedenza. Ognuno ottiene ciò che vuole, niente di più o di meno" le spiegò il mago.
"Forse desiderano solo ciò a cui sono abituate" osservò Victoria, ricordando la profondità dell'amore che provava per il re e la regina, e l'intenso dolore che ne era parte integrante.
"E' vero. La gente cerca ciò che conosce, perché tutto quello che è familiare è fonte di conforto".
"Anche se si tratta di un conflitto?".
"In modo particolare se è una lotta! I tempi cambiano, al pari degli esseri umani che si ostinano però a cercare di sistemare le cose, a capire e risolvere le questioni rimaste in sospeso, ostinandosi purtroppo a ripetere lo stesso comportamento che non ha funzionato la prima volta".
"E' forse quello che ha fatto il principe? Mi diceva sempre che non poteva fare a meno di trasformarsi nel signor Nascosto" esclamò Victoria, agitandosi a disagio sulla poltrona.
"Forse, ma trascinarsi appresso il proprio retaggio di sofferenze è comunque una scelta, anche se del tutto irresponsabile. Ognuno deve rispondere del proprio comportamento, elaborando il dolore che lo tormenta in modo da non infliggerlo agli altri. Le porte dell'antica compagnia del tempo andato sono aperte a tutti".
"Se solo fosse venuto qui tanto tempo fa..." commentò in tono cupo la principessa. "Forse sarebbe migliorato, e le cose sarebbero andate in maniera diversa".
"Può darsi. Non dimenticare che alcune persone hanno troppa paura di affrontare ciò che le aspetta qui, e non sono disposte a fare ciò che devono".
"Che razza di spreco... tutti quegli anni a tremare, con lo stomaco sottosopra e il petto serrato, sentendomi indifesa, confusa, stanca e malata...".
"Quando permetti ai giudizi degli altri di diventare più importanti dei tuoi, finisci per cedere il tuo potere".
"Per te conservarlo dev'essere facile: ne possiedi così tanto!".
"Anche tu, mia cara. Ma devi imparare a riconoscerlo e tenerlo in esercizio, altrimenti si limita a giacere addormentato".
La principessa inspirò a fondo, cercando di allentare la tensione che le irrigidiva il corpo. "Se sono così potente, per quale motivo mi sembra di amare ancora il principe, nonostante tutte le cose di cui sono venuta a conoscenza?".
Il mago le prese la mano tremante fra le sue. "Sapere è una cosa, ma quello che si prova è tutta un'altra faccenda. Può darsi che debba passare molto tempo prima che i sentimenti riescano a mettersi alla pari con la conoscenza. Abbi pazienza, tesoro, e vedrai che prima o poi accadrà".
Victoria meditò a fondo su quelle parole: aveva molte cose a cui pensare.
Nella sua mente apparve un'altra domanda, a cui doveva a tutti i costi trovare risposta: "L'ho amato con tutto il cuore e l'anima, ma lui ripeteva che non era abbastanza: perchè?".
"Nemmeno dieci principesse avrebbero potuto amarlo fino a renderlo soddisfatto. Le persone che ritengono di non meritare di essere amate, come per esempio il principe, dubitano dell'amore degli altri perchè non credono che qualcuno privo di valore come loro possa meritarlo"[...]".

Da  "La principessa che credeva nelle favole" di Garcia Grad Powers 


mercoledì 8 febbraio 2012

Ai genitori separati... una carezza sul cuore...

Molto si trova in letteratura riguardo ai vissuti dei bambini di genitori separati. 
L'Amore tra un uomo e una donna può finire, ma il legame genitori-figli non si spezza, anzi può, e dovrebbe, venir alimentato giorno dopo giorno. Eppure nei nostri più comuni ambienti di vita, dalla scuola al lavoro, si sentono aleggiare nell'aria frasi senza pensiero, che lasciano il gusto amaro del pregiudizio, di chi parla tanto per parlare, senza conoscere quell'intimità che regna segreta in ogni focolare domestico.
Un bambino va male a scuola? "Poverino, i suoi genitori sono separati!".
Un bambino ha una bassa autostima? "Del resto, con due genitori separati!"
Un bambino è improvvisamente triste? "Per forza, i suoi genitori si sono separati!".
Chi può dire di non aver mai sentito questi luoghi comuni?
La separazione tra due adulti coniugati, sempre più diffusa stando a quanto riportano le statistiche, viene condannata dalla società come fatto in se stesso generante le più terribili conseguenze sui bambini nati dalla coppia. Perchè invece di parlare di un evento quale la separazione non parliamo di due persone, uomo e donna adulti, e di COME affrontano questo percorso di cambiamento? Come vivono questa fase tanto delicata? Quali sono le emozioni che provano e come tentano di gestirle? Quante e quali emozioni stanno soffocando, negando, allontanando, per sentirsi più forti? Che significato danno alla separazione? Come coinvolgono in essa i figli? Come la fanno vivere a loro e come cercano di spiegarla? Quali motivi riportano? E ancora... sono motivi condivisi o il consorte ne dirà altri, secondo versioni diverse?

Proviamo ad indagare l'alternativa alla separazione: quanti di noi hanno sentito dire ad amici o colleghi che non si separano per i figli? Quanti di noi non riescono a trovare il coraggio di dire "basta" ad un qualcosa che non esiste più e si mascherano dietro l'alibi dei figli per non fare i conti con un senso di "fallimento personale", e con la frustrazione che ne deriva? Vogliamo parlare poi della sofferenza di un distacco che manda in frantumi le abitudini e ogni sicurezza? O della paura di assumersi la responsabilità di "rompere" convenzioni e tradizioni sociali che suonano dentro di noi come doveri morali sin dalla più tenera infanzia?

Ora...
proviamo a metterci dalla parte dei bambini, dei nostri figli:
qual è davvero il loro bene?

Siamo sicuri che per loro la cosa migliore sia avere una famiglia solo in apparenza unita, con due genitori che si "obbligano" vicendevolmente a stare insieme senza provare più alcun sentimento autentico l'uno per l'altro?

I bambini SENTONO il clima che si crea in casa, quelle sensazioni sottili che passano attraverso il non verbale e arrivano immediate come un pugnale lanciato diritto al petto. I bambini PERCEPISCONO le emozioni, le tensioni, le vibrazioni che aleggiano nell'aria, nonostante facciamo di tutto per moderare le parole che usiamo con l'altro coniuge e cerchiamo in tutti i modi di non litigare davanti a loro. Allora qual è il vero bene per il nostro bambino?
Un bambino ha bisogno di un CONTATTO con il proprio genitore, un contatto stabile e sereno, anche se questo può vuol dire con un genitore alla volta. Ma il genitore deve star bene per poter essere sereno con il proprio figliolo. Mettere la parola "fine" ad un rapporto senza più amore può essere positivo per un bambino. Può trasmettergli una certa fiducia nella vita data dalla possibilità di scegliere come costruire il proprio futuro. "Nessuno di noi è condannato all'infelicità!".
Alcuni bambini (figli di genitori che si sono costretti ad una vita insieme dicendo di doverlo fare per i figli, e contemporaneamente cercano l'Amore fuori dal nucleo familiare, senza riuscire a creare alcun tipo di rapporto), crescono con un'idea falsata dell'amore coniugale. Ho visto bambini crescere con tante insicurezze sull'Amore, qualcuno addirittura con il pensiero che l'Amore è solo "sopportazione" e il matrimonio non ha senso.
I nostri malumori si riversano inevitabilmente sui nostri figli, anche se non lo vogliamo, e questa è l'unica certezza.
Dobbiamo fare luce in noi stessi e cercare di capire come possiamo ritornare a stare bene. E' un percorso lento di cambiamento che coinvolge inevitabilmente anche tutte le persone che ci sono care, in modo e con tempi diversi. Ma i figli non devono essere i contenitori delle nostre emozioni!!!
Ho visto genitori scaricare i loro fardello di vissuti sui loro figli diventando loro "amici" e altri genitori "annullarsi" del tutto in nome dei loro figli, creando rapporti "morbosi" e agendo in preda a continui sensi di colpa. Entrambi questi genitori amano i loro figli, ma, pur senza volerlo, non permettono loro di crescere in modo sano.  
Ognuno di noi è innanzitutto un uomo o una donna, ancor prima di essere un padre o una madre. Ed è importante che i figli sappiano che quest'uomo e questa donna hanno il compito di educarli alla vita e garantire loro una crescita serena, ma questo non significa che sono sempre "disponibili" per loro, pronti a soddisfare ogni loro desiderio. I genitori facciano gli adulti e i bambini rimangano tali!
E allora anche la separazione, se vissuta come un percorso consapevole, e non come un mero evento, come dice Santarelli, può diventare "un'occasione di trasformazione, di crescita e di forza per un bambino, rafforzandone anche l'autonomia e l'indipendenza".

Queste mie parole sono rivolte a tutti quei genitori 
che non si concedono il "lusso" di sentire le proprie emozioni di uomo e donna,
nell'illusione di farlo per un amore più grande, quello per i figli, ...
Per tutti questi genitori ci sia una carezza sul cuore 
che li aiuti a riaprirsi alla vita
per il bene loro e dei loro figli.

A tutti questi genitori dedico queste parole di Emanuela Del Pianto: 

Se il cuore si apre, 
la mente riesce a vedere orizzonti molto più lontani, 
coglie la bellezza del tramonto, 
ma anche la bellezza dell’oscurità. 
Si impara a comprendere, dentro di noi, 
che il buio è solo una fase che precede la luce; 
tempo e spazio assumono significati diversi. 
Non sono più dimensioni che ci guidano 
ma impariamo a guidare il nostro star bene”.

martedì 30 novembre 2010

Ai corsisti di Bergamo

Le vostre e-mail sono arrivate, intense e preziose, quando i tempi erano ancora "caldi" per quel che abbiamo vissuto insieme, come suggeritovi.
Nonostante le molte domande la mia risposta arriva solo ora dopo il tempo necessario per sospendere le emozioni, questa volta mie, e far emergere il pensiero.
Ed è una risposta al gruppo, perché sul "gruppo" abbiamo lavorato, no?!?

Mi avete regalato molto di voi, ognuno di voi, 
qualcuno ha trovato più spazio durante il corso, qualcuno meno, 
vi ho osservato, senza giudizio, 
ho mosso qualcosa, solo qualcosa ... 
siete stati voi gli attori 
che mi hanno portato a rivedere continuamente la sceneggiatura. 
Il mio compito era lasciar traccia
ma io sono stata una cometa, 
tocca a voi continuare il lavoro
Ci risentiamo nell'anno nuovo allora?!?

TRACCE...
I primi incontri eravate tutti, o quasi, in ritardo.
Il primo giorno in Bergamo mi sono sentita affascinata dalla vostra città: ricordo di aver chiesto a Stefania di poter aprire la finestra, guardare il corso e scrutare Bergamo alta, che posto fantastico!
Eppure pochi giorni dopo ho conosciuto l'altra Bergamo, quella nascosta, quella dei ragazzi di strada, dove regna il branco e non il gruppo, quella dove la scelta è ridotta all'osso. I loro sguardi, i loro nomi, la vicinanza, la loro rabbia, la mia impotenza, l'indifferenza della gente, l'eccitazione del branco e poi la fuga... non avevano scelta
Il racconto di quanto accadutomi ci è tornato utile, siamo entrati nel vivo, abbiamo lavorato sulle relazioni, sulla comunicazione, sulla possibilità di uscire dal nostro lamento quotidiano per investire in qualcosa di diverso, nel tempo, vedere punti di forza e di debolezza di noi stessi e degli altri, per considerarci risorse gli uni per gli altri.
Voi rappresentate un'Azienda, che fa onore alla Vostra città, e avete la possibilità di scegliere se continuare a portarne alto il nome. Giovani e meno giovani, tutti con una buona esperienza, continuate ad investire nella qualità! Non è un consiglio (ricordate? "Non datemi consigli, so sbagliare da solo!"), è una freccia lanciata in alto...
So che avete trasgredito alle regole, che avete continuato il lavoro parlando sul corridoio, davanti al caffè, negli uffici, fuori dal lavoro. Questo il potere delle trasgressioni, l'importante è che servano a qualcosa.
Vi ho detto poco di me, ognuno di voi ha colto cose diverse, ma del mio punto di forza mi avete dato restituzione quando la vostra partecipazione ha assunto connotati diversi, quando avete detto: "pensavamo che non sarebbe servito a niente!".
Eravate una "sfida" per me: un corso per operatori di un settore diverso da quello in cui opero quotidianamente, il sociale; una novità, una bella sfida, ... una soddisfazione.
Ma la sfida continua... lancio a voi la palla! 
Soprattutto a coloro che si sono irrigiditi, che si sono sentiti "attaccati",
che hanno paura, ... 
Il cambiamento fa sempre paura... a tutti noi... 
ma quando iniziamo ad investire per qualcosa di migliore... 
senza grandi interpretazioni... senza grandi teorie... 
abbiamo già fatto molto! 
E dipende anche da noi!

GRAZIE di avermi fatto conoscere la vostra città, 
di avermi regalato il vostro tempo fuori dell'orario di lavoro, 
un pranzo per una volta tutti insieme, 
le spiegazioni storiche, il giro in funicolare, 
non era scontato, 
è stata un'emozione forte, 
mi sono portata via molto.

Ed è con un grazie a tutti che vi auguro le cose migliori,
un Buon Natale e un Buon Anno Nuovo
che sia di qualità nella totalità della vostra vita,
professionale e personale.

Mara